Beniamino Savio – Play your future, cosa ci insegna lo sport?
Pianificazione e improvvisazione
Sul palco di TEDxTorino Beniamino Savio riflette sul rapporto tra pianificazione e improvvisazione nella nostra vita quotidiana, partendo da una domanda che rivolge a tutti noi: chi, oggi, si trova nella situazione in cui aveva immaginato di trovarsi anni fa? Partendo da questa domanda, Savio riflette sull’opportunità di pianificare, affrontare l’imprevedibile – quindi improvvisare – e pianificare nuovamente. Un grande cerchio che si chiude, genera stress e si ripropone sempre identico a se stesso, a meno che non si trovi il modo di spezzarlo. E forse Savio un modo lo ha trovato, ispirandosi proprio allo sport.
Chi è Baniamino Savio?
Savio nasce con la passione per lo sport e per i numeri. A 28 anni fa l’esperienza lavorativa che cambia la sua carriera, le Olimpiadi di Torino: alla guida di quasi 1000 persone, gestisce le attività di Sport & Entertainment per il Comitato Olimpico. A 30 anni è il dirigente più giovane del Gruppo Alpitour ed è parte del board direzionale. Dopo un’esperienza a Milano nel settore MICE, nel 2016 trova soci e fondi per avviare il progetto AWE Sport. Questa azienda opera nella sport industry e vuole portare i valori e la cultura dello sport nel lavoro di tutti i giorni; è formata oggi da un team di 50 persone che lavorano in tutto il mondo. Per la sua onlus “1 caffè”, di cui è fondatore insieme all’attore Luca Argentero, viene selezionato da Wired tra i top 100 innovatori italiani under 35.
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Ho ascoltato, ho guardato centinaia di TED Talk nella mia vita; ma non avrei mai pensato di tenerne uno.
Non sono proprio dove avevo programmato di essere.
Alzi la mano chi di voi è nella situazione personale, familiare, o fisica – o professionale, lavorativa ed economica – che aveva pianificato anni fa? Mi chiedo quindi se chi siamo, dove siamo, sia il risultato di una pianificazione, di un metodo, di un controllo attento delle nostre azioni e delle relative conseguenze; oppure sia il risultato di una serie di reazioni ad avvenimenti casuali che ci sono successi.
Siamo padroni del nostro destino?
È un mantra che ci siamo sentiti ripetere tante volte, in diversi contesti. Avere la convinzione che la nostra vita non sia lasciata al caso, ma siamo noi ad averne le redini, indubbiamente ci rassicura. Siamo noi i padroni del nostro futuro. Siamo noi che decidiamo il nostro futuro con la nostra volontà, con la nostra tenacia, con la nostra bravura. Ma è davvero così? Perché a me invece, a volte, sembra di vivere una vita come se fosse una corsa in equilibrio su una fune. Avete presente quei giochini, gli endless run, che vanno tanto di moda adesso dove l’imprevisto è sempre dietro l’angolo? Un imprevisto lavorativo, un imprevisto di salute, o un imprevisto logistico. Anche piccolo, anche positivo. Non sto parlando necessariamente di grandi tragedie. Arriva l’imprevisto, e saltano i piani. Vengono disattese le mie aspettative. E quindi la prima domanda che mi faccio, il primo dubbio, è sempre: ho sbagliato qualcosa. Potevo prevederlo. E poi l’ansia da ripianificazione.
Adesso cosa faccio?
La necessità di riprendere subito il controllo. Ora, questa pianificazione, imprevisti, ripianificazione è un lavoro psicologico immenso, che ci occupa tutti i giorni. A me genera stress. A me personalmente mi si forma un piccolo mattone qua, sul petto, che mi impedisce di finire bene il respiro. Mi sento un po’ chiuso in gabbia. E allora mi vengono di nuovo, mi metto di nuovo in discussione. Possibile che non riesco a godermi quella quotidianità che ho, faticosamente, costruito in tanti anni? Possibile che non riesca a vivere la mia giornata con maggiore leggerezza? E quindi inizio a cercarmi delle evasioni, un po’ di spazio solo per me. Quelle due ore che ti prendi solo per te nella giornata; inizi a sognare ad occhi aperti. Le leggende metropolitane: l’amico che ha preso la famiglia e ha aperto il chiringuito sulla spiaggia del paese tropicale dove costa tutto pochissimo, c’è sempre il sole, i bimbi giocano scalzi nella sabbia. Andiamo. Ma se pianificare mi genera questo stress, e lo stress mi genera infelicità, e voglia di evadere, è sbagliato pianificare? È sbagliato pensare alle conseguenze delle nostre azioni? È sbagliato pensare a chi vogliamo essere, nei diversi ruoli della nostra vita? Uomini, donne, genitori, figli, amici, colleghi.
È sbagliato impegnarsi per realizzare i nostri sogni?
Evidentemente non è così. È una semplificazione che non vale: non vale perché il mondo di oggi è disordinato, è frammentato e guidato da una tecnologia che a volte sembra superare i nostri limiti di pensiero e di azione. Una tecnologia affascinante, a volte inquietante: la usiamo per relazionarci, la usiamo per osservare, per osservarci, la usiamo per scegliere continuamente. E scegliamo cosa ascoltare, cosa leggere, cosa guardare, come viaggiare. Scegliamo continuamente, e nello scegliere abbiamo la sensazione di avere il controllo. Poi ci guardiamo intorno e vediamo sì un mondo controllato; ma condito da insicurezza, nevrosi, disarmonia. Perché viviamo in un mondo complesso. Perché è difficile orientarsi in un mondo complesso. E complesso non vuol dire complicato. Intendo complesso nel suo significato originario. “Complesso” significa “Intrecciato insieme”. È un concetto di molteplicità e unità al tempo stesso. È un mondo che è sia globale sia locale, allo stesso tempo. Un mondo che va veloce, un mondo che è accelerato: ogni cosa è un sistema. Sembra quasi che il mondo si sia evoluto, e sia entrato nell’era della complessità, e la nostra mente ancora no, che noi stessimo arrancando dietro questo mondo. E quindi? Fino adesso, vi ho buttato lì qualche pensiero, un po’ di domande, qualche banalità, un po’ di ansia. Effettivamente, se ci mettiamo a guardare questo mondo e a pensare, c’è il rischio di rimanere paralizzati. Io li capisco bene i giovani di oggi, quelli che non hanno voglia di alzarsi dal letto, quelli che non hanno voglia di uscire di casa. Solo che io ho due figlie piccole. Cosa racconto loro?
Avevo bisogno di un’ispirazione, avevo bisogno di un’idea.
L’ho cercata, e forse l’ho trovata, nel mondo dello sport. Lo vivo tutti i giorni, e racconta delle storie straordinarie. E credo che lo sport sia in grado di trasmettere dei valori e delle emozioni che sono uniche. Vi siete mai chiesti perché le grandi storie di sport ci coinvolgono così tanto? Perché ci appassionano così tanto? Due cose: sono autentiche e sono imprevedibili. Provate a guardare un atleta nel momento della sua gara, nel momento della sua partita, nel suo momento. Osservate per un attimo il suo volto. Guardate la tensione, l’agone che ha in quel momento. È autentico, è reale. Lo sa che non ha un secondo ciak, che non ha un replay. E sa anche che il risultato è imprevedibile, perché ci sono statistiche, ci sono analisi, ci sono sondaggi, ci sono calcoli complessi; ma alla fine, il risultato è sempre incerto. E non è forse questo quello di cui stiamo parlando?
Non è così la nostra vita, quando affrontiamo la complessità del mondo?
È vita vera ed è imprevedibile. Allora mi son detto: Guardiamo come fanno loro. Come fanno i protagonisti di queste storie straordinarie, che guardo con tanta ammirazione, ad affrontare l’inevitabile imprevedibilità delle loro sfide? La pressione dei media, le aspettative dei fan, l’attimo che li paralizza prima di entrare in campo, ce l’avranno anche loro. Cosa fanno? Improvvisano, semplificano? Lasciano che sia il caso, a decidere la vittoria o meno? Oppure hanno tutto sotto controllo? E sanno esattamente quale sarà il risultato? Beh, nessuna delle due. O meglio, entrambe. Si preparano al meglio, si allenano agendo su tutte le leve su cui hanno il controllo: l’alimentazione, la preparazione fisica, il riposo, le analisi tecniche, la tecnologia.
E poi danno il massimo, senza risparmiarsi, senza lasciare niente.
A volte vincono, a volte perdono. Per bravura degli avversari, per un imprevisto, per un errore. Ma possono essere frustrati, possono essere stressati, se sanno che si sono preparati al meglio e poi hanno dato il massimo nel momento della performance? Ecco, secondo me lo sport ci dà gli strumenti per affrontare questa complessità. O quantomeno, ci dà un’ispirazione. Allenarsi tutti i giorni, dando il meglio di noi, e cercando di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo con curiosità, senza pigrizia. E poi, però, essere in grado di affrontare ogni singolo evento della nostra vita, ogni momento, con consapevole leggerezza.
Disciplinati, ma non severi con noi stessi. Responsabili, ma non in colpa.
Coraggiosi nell’affrontare una nuova sfida nell’uscire dalla nostra zona di comfort, senza essere bloccati dalla paura di fallire. Perché il fallimento non esiste. Il fallimento è un tentativo che non è andato a buon fine. Esistono le sconfitte, esistono le delusioni, esistono le ferite anche profonde, quelle che ti lasciano il segno. Ma bisogna essere consapevoli che queste ci servono soltanto a migliorare, a crescere, a essere più forti nel momento in cui affronteremo la prossima sfida. Ecco, quest’idea, questo approccio mi è piaciuto fin da subito. Mi ha tolto un pezzettino di quel peso che avevo qui. E sto cercando di applicarla nella quotidianità, nel lavoro, oggi su questo palco, con un successo – più o meno, insomma, sto iniziando.
E poi ho provato a portarla in un progetto che andasse al di là di me stesso, che lasciasse il segno.
E insieme ad alcuni soci e amici, abbiamo iniziato un’avventura che abbiamo chiamato “Akto”, che significa agisci – play! – in esperanto. E con “Akto” abbiamo due obiettivi: quello di offrire ai giovani dei paesi emergenti una formazione professionale di qualità e accessibile. E poi di offrire loro dei posti di lavoro, delle opportunità di lavoro concrete nel mondo dello sport. Siamo convinti che l’educazione sia una delle sfide più importanti per un futuro sostenibile del nostro pianeta.
E crediamo nei valori dello sport, e vogliamo fare la nostra piccola parte.
“Akto” è stata lanciata lo scorso anno a ottobre a Capo Verde e quest’anno arriverà in Portogallo e in Brasile, coinvolgendo migliaia di giovani, offrendo centinaia di possibilità di lavoro. Ce la faremo? Mi piacerebbe potervi dire che ne sono sicuro, ma il futuro è imprevedibile. Intanto, ce la mettiamo tutta e ce la giochiamo. Grazie. (Applausi)