Mosca, stazione Yaroslavskiy, h 23:38 di lunedì 4 luglio 2016
– So, have a nice trip. And remember: never ever, under any circumstances, give your ticket to somebody else. You have to keep it with you. Always.
– Ok, I’ll be careful, I promise. Thank you. Take care.
Dopo un breve saluto all’addetto notturno alle informazioni della stazione Yaroslavskiy, mi dirigo verso il binario. Il treno è già lì. Sarà il buio, sarà l’emozione di partire – anche se da Torino sono partita molti giorni fa – ma se qualcuno mi dicesse che va a Hogwarts non faticherei a crederci.
Controllo per la centesima volta il biglietto. Carrozza 5, letto 15. Chissà chi saranno i miei compagni di cuccetta. Chissà dove mi addormenterò stanotte.
Davanti a ogni vagone ci sono due controllori, posizionati ai due estremi, in corrispondenza delle scale di accesso, per tenere d’occhio chiunque voglia salire o scendere. Il mio treno arriva da Beijing, quindi il personale è cinese.
Mi avvicino alla scaletta, stringendo in mano il passaporto e il carnet di biglietti, accuratamente piegato in modo da esporre in cima il titolo di viaggio per la prima tratta che ho scelto, Mosca – Irkutsk.
Il controllore non capisce l’inglese. Guarda la documentazione tra le mie mani, la indica e poi indica il suo petto: “devi consegnarmela”, sta provando a dirmi.
Scuoto la testa, metto ancora più in evidenza il biglietto, che ora tengo con due mani. Il passaporto l’ho messo in tasca, a scanso di equivoci.
“Non esiste proprio. Controlla, è tutto a posto, e fammi salire.”
Il controllore inizia a sua volta a scuotere la testa, poi indica di nuovo i miei documenti e il suo petto. Inizia un gioco di sguardi, tra due persone appartenenti a due culture antitetiche:
“Vuoi partire? Devi fidarti.”
“Come faccio a sapere che rivedrò i miei biglietti?”
“Non puoi saperlo. Devi scegliere: se ti fidi, partirai. Se non ti fidi, il tuo cuore rimarrà per sempre su questa banchina, sulla banchina del binario 11 della stazione Yaroslavskiy di Mosca.”
Allungo il carnet di biglietti senza rompere il contatto visivo.
Il controllore lo prende, così, intero come gliel’ho passato, e sparisce per i successivi tre giorni.
Cosa vuol dire viaggiare?
Vuol dire rompere gli schemi e fare un salto nell’ignoto. Vuol dire fidarsi: di persone che non conosci, di una cultura che ancora non hai neanche intuito – se non nelle storie che hai letto e che ti hanno obbligata a partire – il tutto, in posti a te estranei.
Viaggiare è coraggio, è adrenalina che ti fluisce nel corpo e ti ricorda che sei viva, più viva che mai.
Il tema del viaggio, fisico e introspettivo, nasce con l’umanità stessa. La civiltà e il progresso germogliano dalla voglia di allargare i propri orizzonti, di andare oltre.
Omero, Marco Polo, Verne, Joyce, Tolkien, Kerouac, Calvino, Suárez hanno dato vita ai viaggi incredibili di eroi come Ulisse, Enea, Marco Paolo, Aragorn, Sal Paradise, Marco Polo e Kublai Khan, Lucia e Circe.
Quando leggiamo di loro, dei loro viaggi, delle loro esperienze, dei posti che hanno visto, delle persone che hanno incontrato, delle culture che hanno sfiorato, dei cibi che hanno mangiato e di quanto siano tornati cambiati, il nostro lato selvaggio si risveglia e inizia a fantasticare sulla prossima meta.
La musica, poi, non è da meno: le canzoni sui viaggi si sprecano, ci risuonano da quando eravamo bambini. Da Bocelli a Iggy Pop, tutti noi abbiamo ascoltato storie di viaggi scritte su pentagramma che ci hanno fatto desiderare di lasciare tutto e andare.
Can’t start a fire, can’t start a fire without a spark
Manca ancora un elemento fondamentale, e poi è fatta: manca la scintilla. Quella sensazione a cui fatichi a dare un nome più preciso, che nasce e si sviluppa nel tuo stomaco e che rifiuta di tacere.
Quella sensazione urgente, che alla fine che ti fa dire “è ora, devo andare”.
La scintilla può arrivare dall’esterno, in maniera inaspettata, come a volte succede in concomitanza con grandi eventi – positivi e non – nella vita di una persona. Altre volte, invece, il fuoco del viaggiatore è una caratteristica intrinseca del proprio essere che non ha bisogno di essere alimentato. Anzi, al massimo il contrario.
Ma alla fine, qualunque sia la motivazione che ti spinge a partire, sappi che al ritorno non sarai più lo stesso. Sarai migliore.
“La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla a ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all’incrocio con una più lunga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.”
dal libro “Il signore degli anelli“, J.R.R. Tolkien
Testo e foto: Laura Arsanto