Con Roberto Baggio TEDxTorino comincia il riscaldamento in vista del Salon del prossimo 30 settembre, Game Over / Learn Over.
Un evento in cui, per una volta, protagonisti assoluti non saranno i vincitori, ma i vinti: atleti di altissimo livello raccontano il loro rapporto con la sconfitta e il fallimento.
Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia
De Gregori, La Leva Calcistica del ‘68
Quando ho paura di fallire, penso sempre a Roberto Baggio.
Nel 1994 Roberto aveva ventisette anni, io sei appena compiuti.
Ma ricordo benissimo – la tele nelle case degli italiani aveva ancora una certa autorevolezza – l’inquietudine che soffocava la sala e il rumore del fiato sospeso, che poi è il silenzio più profondo delle cose assenti, quando quel ragazzo andò a posizionare la palla sul dischetto con il peso di tutti gli occhi dell’Italia addosso.
La telecamera lo riprende mentre si piega in avanti, per poi passare a inquadrare il suo viso: tutto sommato, quello di una persona normale.
Senza la maglietta blu con lo stemma, senza il boato dello stadio intorno, sarebbe stato solo un ragazzo che ama giocare a calcio davanti a un tiro difficile.
Invece c’era lo stadio, c’erano i cori, c’era il portiere avversario e la possibilità di fallire o riuscire, condensata in quegli undici metri che separano il dischetto dalla linea dei pali.
Roberto Baggio aveva 27 anni, meno di quanti ne ho io oggi, e si portava addosso responsabilità e aspettative forse troppo grandi per una persona sola.
Il tutto durò una manciata di secondi – la rincorsa breve, forse un velo di esitazione, la palla che sorvolava in una volta sola la traversa e le speranze dell’Italia di vincere la Coppa del Mondo USA ‘94.
Un fallimento mondiale, insomma.
Eppure, io credo che la stoffa del campione si veda proprio nei momenti di difficoltà, nella disfatta, nel fallimento: quando si vince, siamo tutti bomber.
È quando la sconfitta ci ricorda che siamo imperfetti, quando il fallimento ci mette una pala in mano e ci indica una montagna di merda, che il campione si rivela tale. Per saper perdere invece, ci vuole coraggio.
Soprattutto oggi che il fallimento è visto come qualcosa di inaccettabile, piuttosto che come una possibilità di elevare se stessi imparando dai propri sbagli; oggi che l’errore non fa più parte del processo genuino di formazione dell’essere umano.
Così, quando devo fare qualcosa di importante, in cui c’è il rischio concreto di fallire e subirne le conseguenze, penso a Roberto Baggio e a quel rigore nel Mondiale USA del 1994.
Perché ciascuno di noi gioca il suo personalissimo Mondiale e ha il proprio calcio di rigore quotidiano.
E in fondo, se ha sbagliato Baggio, possono sbagliare tutti.
Ferdinando del Blasio