È l’anno 1972, l’Islanda ottiene la possibilità di ospitare il Campionato Mondiale di Scacchi.
A muovere i pezzi, sopra le sessantaquattro caselle bianche e nere, saranno il campione mondiale in carica Boris Spasskij dall’Unione Sovietica e il giovane americano Bobby Fischer, ben otto volte campione nazionale.
Siamo nel cuore della Guerra Fredda in cui USA e URSS si minacciano vicendevolmente dando credito alle voci che un terzo, catastrofico, conflitto mondiale è ormai alle porte.
La sete di supremazia tra le due potenze è tale che gli scacchi assurgono al più profondo dei loro scopi originari: diventare un vero territorio bellico.
Il valore della vittoria di questa disputa mondiale è considerato, dalle due forze politiche, più vincolante di un combattimento su un vero campo di battaglia.
È l’apoteosi del gioco.
Basta davvero così poco a che un’allegoria diventi la concretizzazione miniaturizzata di un conflitto? È davvero così immediata la trasformazione di un semplice gioco da tavolo in qualcosa di potenzialmente molto più grande, come solo una guerra sa essere?
Gli occhi del pubblico – volutamente o ingenuamente ignaro della situazione di contorno – sono tutti puntati sul giovane Fischer, già noto ai cultori degli scacchi per i suoi atteggiamenti eccentrici, presuntuosi e paranoici che lo spingono a compiere stranezze che rasentano la psicosi.
Su queste – affatto semplici – premesse ha inizio il match.
Sin da subito, Bobby Fischer si dimostra un giovane testardo che accetta di giocare solo alle sue condizioni come un bambino capriccioso. Chiede, ad esempio, che durante il match vengano ripetutamente sostituiti i pezzi e la stessa scacchiera (prima in legno, poi in marmo), chiede che vengano rimosse le prime dieci file di sedie della sala, che ai bambini in sala sia proibito di mangiare dolciumi con involucri rumorosi e un’altra infinità di assurdità che, a elencare, appena basterebbe un libro intero.
È a tutti chiaro – da principio – che l’americano non sta combattendo realmente contro Spasskij, ma contro i suoi demoni interiori.
Questa sua personalissima guerra porta Fischer a commettere degli errori che consentono una partenza avvantaggiata per l’URSS.
Bobby vince la sua prima partita – la terza del match – solo dopo aver ottenuto riscontro positivo ad alcune delle sue strane richieste.
Apre il suo gioco con una mossa inusuale che stupisce il suo avversario: la “Benoni”, meglio conosciuta come “Figlio del dolore”. Mossa che sembra il titolo della sua biografia, quella di un genio incompreso dedito solo alla sua grande passione e manchevole di calore umano. Da lì l’ascesa del campione è inarrestabile.
Intanto, tra accuse di spionaggio e bagliori di pazzia, tra una moltitudine di partite patte e di scontri mediatici si giunge alla ventunesima e ultima partita.
Spasskij – sotto la forte pressione dell’avversario – gioca incredibilmente male e quando la partita viene sospesa Fischer ha già guadagnato grande vantaggio. A un certo punto, la tensione è tale che la sedia di Fisher viene addirittura fatta smontare da una delegazione sovietica. Viene passata al metal detector nella speranza di individuare il congegno che, secondo le teorie complottiste, invierebbe strani raggi elettromagnetici in grado di confondere la mente di Spasskij.
Non viene trovato nulla.
Appare chiaro che Bobby ha ormai in pugno la situazione e il destino della gara.
Il sovietico annuncia per telefono – al giudice dell’incontro – di voler abbandonare.
L’americano non ci sta, la resa non è parte dei suoi schemi. Si ribella alla telefonata di Spasskij, ma alla fine – dopo aver letto pagina per pagina e riga per riga il regolamento – si arrende.
La busta contenente l’ultima mossa non sarà mai aperta.
Bobby Fischer è appena diventato il campione Mondiale di Scacchi dell’anno 1972.
Serviva un “matto” per vincere al gioco di quello che passerà alla storia come “IL MATCH DEL SECOLO”.
Ready Player X
Cos’altro può nascondersi dietro un gioco?
Straccia ogni regola e scombina le carte in tavola proprio come Bobby (o quasi): ti aspettiamo il 02/02/2020 presso il Palavela di Torino all’evento Ready Player X organizzato da TEDxTorino per rispondere a queste e molte altre domande.
Testo: Emilia Bifano