K.V. Switzer: Maratona a ostacoli

19 aprile 1967, Patriots’ Day, Boston.

 

Sono le 9 del mattino e stiamo facendo colazione. Fuori nevica, si muore di freddo.

Ma non mi preoccupa: mi sono allenata cinque mesi con un tempo simile. Non mi ha mai fermata e non mi fermerà certo oggi. 

La cosa che mi disturba è che non potrò correre con il completo top e shorts bordeaux che ho portato. L’ho anche stirato per l’occasione.

 

Prende bacon e uova, ricarica il caffè. 

 

Peccato, avrei voluto essere più carina, più femminile. Invece mi dovrò accontentare della vecchia tuta grigia, che non mi ha mai tradita. 

Ma nessuno potrà impedirmi di truccarmi e mettere gli orecchini, quello no.

Ora però basta pensieri: devo mangiare, devo ingozzarmi. 

Avrò bisogno di tutta l’energia possibile più tardi.

 

Prende pancakes, succo, caffè, latte e un altro toast e poi sale a cambiarsi.

 

Sono le 11:45. Tra un quarto d’ora inizierà la maratona di Boston, la più antica maratona annuale al mondo, e io sono qui. Ora. 

Per fortuna non sono sola. Per fortuna ci sono con me Arnie, Tom e John.

Senza pensarci, mi sono iscritta usando le iniziali del mio nome, come faccio sempre: “K.V. Switzer”. Non avranno neanche pensato a controllare se ero donna o uomo, non c’erano domande del genere nel modulo di iscrizione.

La gente mi guarda. Gli altri atleti mi guardano. Sono l’unica donna.

Mi sorridono.

 

Pronti partenza via.

 

Le prime miglia di ogni maratona sono divertimento puro. Correre è facile, la gente per strada ti saluta, i compagni di avventura parlano ancora.

Siamo partiti da circa un miglio e vedo un furgoncino della stampa che ci supera e i giornalisti e i reporter che iniziano a farci foto a raffica. 

Ci salutano, anche loro sono sorridenti. È la prima volta che una donna partecipa ufficialmente a una maratona, con tanto di pettorina. 

Numero 261, sono io. 

 

Un uomo con le scarpe con le suole in cuoio le fa il dito medio e inizia a correre verso di lei.

 

Mi sta inseguendo! Ma chi è? Oh no, fa parte dell’organizzazione della gara, e sta provando a togliermi la pettorina!

Mi trattiene, non so cosa fare, qualcuno mi aiuti…

K.V. Switzer alla maratona di Boston, il 19 aprile 1967.
Credito fotografico: Boston Herald

 

“Vattene dalla mia maledetta gara e dammi quella pettorina!”

 

Il mio allenatore, Arnie, cerca di allontanarlo, ma non basta. A mettere un punto a capo ci pensa Tom, il mio ragazzo, ex giocatore di football americano, soprannominato “Big Tom”, che ha intenzione di partecipare alle prossime olimpiadi. Specialità lancio del martello.

 

Un pugno, un volo in aria, un atterraggio non ben definito. Lo sconosciuto esce dal mio campo visivo.

È colpa mia. Lo abbiamo ucciso. Andremo tutti in galera. Tom non parteciperà alle olimpiadi.

È tutta colpa mia. 

 

Jock Semple, race manager, nonostante il colpo ricevuto è vivo e vegeto. Ma lei non lo sa.

 

Però adesso posso fare una sola cosa: continuare a correre.

Perché ormai ho iniziato e se smetto, nessuno crederà più che una donna abbia le capacità per correre più di 26 miglia. 

Se smetto, tutti diranno che era una trovata pubblicitaria.

Se smetto, danneggerò gli sport femminili, invece di promuoverli.

Se smetto, non correrò mai la maratona di Boston.

Se smetto, il mio aggressore e quelli come lui l’avranno vinta.

 

La paura e l’umiliazione si trasformano in rabbia.

 

Di nuovo i giornalisti, speravo mi lasciassero in pace.

Cosa voglio dimostrare? Nulla, non sono qui per dimostrare nulla. Sono qui perché mi sono allenata duramente nei mesi passati e ora voglio correre.

Quando mollerò? 

Mai. Toglietevelo dalla testa.

 

L’adrenalina è scesa, la stanchezza inizia a farsi spazio, ma la mente macina anche lei miglia su miglia.

 

La ragione per cui per le donne non esistono borse di studio e corsi di sport nelle grandi università, nessun premio in denaro e corse più lunghe di 800 metri è perché non hanno l’opportunità di dimostrare che vogliono queste cose.

Da oggi in avanti, se mai arriverò alla fine di questa corsa, mi sentirò responsabile di creare questo

 tipo di opportunità. 

 

Senza accorgersene supera la Heartbreak Hill, il passaggio più faticoso di tutta la maratona.

 

Mancano poche miglia. Siamo rientrati in Boston, le strade sono tutte uguali, le case pure.

Tom lo abbiamo perso per strada. Sono rimasta con Arnie e John.

 

Hereford Street, Boylston Street e poi la facciata del Prudential building e per terra la scritta FINISH.

 

Io e John ci guardiamo: è giusto che il traguardo lo tagli prima Arnie. 

È il nostro allenatore, è lui che ci ha dato la forza e la calma necessarie ad arrivare alla fine.

Mi pare di vedere una dozzina di persone all’arrivo.

Nessuno ci applaude, sono rimasti ad aspettarci solo perché ci sono io, una donna. 

Qualcuno porta coperte, altri fanno domande. Ci abbiamo messo 4 ore e 20 minuti, ci dicono.

 

Dopo aver aspettato anche Tom, si lavano, mangiano cena e si rimettono tutti e quattro in macchina per tornare a casa, a Syracuse NY.

 

È l’una di notte, abbiamo bisogno di fare benzina e di prendere un caffè. Decidiamo di fare una breve tappa ad Albany.

Nel ristorante c’è solo un uomo, che legge un giornale. 

Aspetta, è la mia foto quella?

 

Ovunque si vedono foto della ragazza che corre, della ragazza che viene attaccata, della ragazza salvata dal suo fidanzato, della ragazza con i calzini inzuppati di sangue all’arrivo.

 

Cosa è successo dopo?

 

La foto dell’aggressione di Jock Semple diventa una delle cento foto che hanno cambiato il mondo secondo Time-Life.

K.V. Switzer ha completato 40 maratone e vinto quella di New York nel 1974.

Ha creato e diretto l’Avon International Running Circuit, un programma di 400 corse al femminile in 27 paesi, che ha raggiunto più di un milione di donne e che ha contribuito a portare all’inclusione della maratona femminile nei giochi olimpici del 1984.

È diventata un’opinionista sportiva e autrice di tre libri. 

Recentemente è stata inclusa alla National Women’s Hall of Fame americana per aver creato un cambiamento sociale positivo.

Nel 2015 ha lanciato 261 Fearless, una società pubblica – presente anche a Milano – che ha l’obiettivo di creare un network di social running globale e supportivo, che aiuti le donne a connettersi tra loro e a prendere controllo delle proprie vite attraverso la corsa.

Nel 2017, all’età di 70 anni, corre di nuovo la maratona di Boston nel cinquantesimo anniversario della sua prima, storica corsa.

 

Ready Player X 

 

K.V. Switzer è una delle tante donne che si sono impegnate e si impegnano per evolvere il ruolo della donna nell’ambito sportivo. 

Vuoi conoscerne altre?

Ti aspettiamo il 02/02/2020 al Palavela a Ready Player X, all’evento TEDxTorino dedicato a tutti quei momenti in cui ci mettiamo in gioco.

Testo: Laura Arsanto