Francesco Candelari: Imprenditori Sociali e Cambiamento

Negli ultimi 10 anni Francesco Candelari ha lavorato per varie agenzie delle Nazioni Unite

Nel 2011, come giornalista, ha documentato parte della primavera araba e da quell’esperienza ha tratto ispirazione per creare il programma ONU che ora gestisce, Entrepreneurs for Social Change.

Lo abbiamo intercettato prima che salisse sul palco di Humans in Co per parlare di Imprenditori Sociali.

MEDITERRANEO COME FRONTIERA E OPPORTUNITÀ DI SCAMBIO: COME PENSI POSSA EVOLVERE QUESTA VISIONE?

Il mediterraneo è uno spazio un po’ strano: ci sono 7 conflitti in corso in questo momento (oltre a quello tra Israele e Palestina che è il più conosciuto in questo momento c’è il conflitto libico, quello siriano, ci sono conflitti più dormienti come quello tra Marocco e Algeria che al momento hanno la frontiera chiusa e ufficialmente hanno ostilità in corso) ma allo stesso tempo è uno spazio dove storicamente ci sono stati e ci sono tuttora scambi importanti (commerciali, a livello di persone, culturali…).

Sono in realtà, a conti fatti, molte di più le cose che gli abitanti di questo spazio hanno in comune di quelle che li separano.

Però, come spesso capita quando le persone sono molto simili o condividono qualcosa molto da vicino, essi tendono a vedere le cose che le differenziano, invece che focalizzarsi su quelle che li uniscono.

Quindi il Mediterraneo è innanzitutto un’opportunità: sta alle persone che ci vivono definire che cosa farne.

Il fatto che io lavori con imprenditori sociali dipende dal fatto che tendono ad avere una coscienza delle opportunità sociali nello spazio in cui vivono più forte rispetto alla media.

Ma la cosa interessante è che tendono a costruire – nel lavoro che fanno, tramit

e i prodotti e beni o servizi che producono – relazioni che fanno sì che le persone guardino molto di più alle similarità

 che hanno.

E quindi fondamentalmente, la mia prospettiva rispetto al Mediterraneo è che più qu

este persone hanno influenza, più i loro beni e servizi sono disponibili e vengono scambiati e supportati anche dall’ecosistema all’interno del Mediterraneo, e più chi vive all’interno di questo spazio avrà possibilità di guardare alle cose in comune piuttosto che alle differenze.

ANCHE LO SCAMBIO COMMERCIALE DIVENTA OPPORTUNITÀ DI INCONTRO?

Assolutamente sì! La cosa interessante da un punto di vista internazionale, è

che i vari macro-spazi geografici tendono a strutturarsi per macro-regioni.

Queste macro-regioni hanno ciascuna le proprie caratteristiche e specializzazioni, quindi c’è una grande complementarietà potenziale all’interno di ciascuna e una capacità di portare il vantaggio comparato che ha quella macro-regione in uno o più settori fuori da essa.

La Cina è una macro-regione, l’India è una macro-regione, lo è il Nordamerica. L’Europa stessa – o l’euro-mediterraneo a seconda di da come lo si guarda – è un’altra macroregione.

Allora all’interno del Mediterraneo ci sono elementi storico-culturali molto differenti, che sono un pezzo importante della storia dell’umanità: questo è certamente un vantaggio comparato che questa zona del mondo possiede.

Se guarderà a questa diversità come un vantaggio, la potrà sfruttare nel confronto con altre zone del mondo; se invece si fermerà a guardare alle piccole differenze al suo interno allora per le altre macroregioni sarà facile sfruttare queste stesse differenze.

Questo vale anche per i grandi problemi contemporanei, fra tutti il più attuale quello delle migrazioni.

QUAL È LA TUA SFIDA PERSONALE NEL TUO PROGETTO?

Prima di cominciare a lavorare sulle imprese sociali lavoravo con le Nazioni Unite sulle cause dell’estremismo violento e su come l’interculturalità e interreligiosità potessero eventualmente essere strumenti per prevenirlo.

Mi sono reso conto che in realtà, anche a livello istituzionale, intervenire direttamente su queste tematiche ed essere efficaci era estremamente difficile.

Invece quello che mi affascina degli imprenditori sociali, è che cercano soluzioni all’interno di una comunità.

Soluzioni che tendono ad essere sostenibili perché devono stare sul mercato: se non lo sono spariscono.

Il mio ruolo istituzionale in quel contesto era molto più che andare a supportare queste soluzioni: dovevo far sì che l’ecosistema stesso (in termini di fiscalità, legislazione…) le supportasse. Il mio ruolo era elaborare un programma che permettesse di rispondere a queste esigenze.

Abbiamo sperimentato questo approccio all’interno dell’euro-mediterraneo perché in quel momento (2011, dopo la Primavera Araba) era la regione in maggior fermento.

Ci siamo resi conto pian piano che il modello di sostegno agli imprenditori sociali funziona al di là dell’euro-mediterraneo.

Esportare un modello sotto un cappello istituzionale, in questo caso le Nazioni Unite, significa sempre adattarlo alle esigenze del posto in cui vai, ma il fatto che quel modello sia stato sperimentato all’interno dell’euro-mediterraneo si avvale proprio di quel vantaggio comparato che citavo prima.

Un’altra cosa di cui ci siamo resi conto è che le imprese sociali hanno un grande potenziale e impiegano tantissime persone (nel mondo sono 40.000.000) però sono per la maggior parte imprese medio piccole e che hanno delle difficoltà importanti a passare da questo stato a quello di imprese veramente determinanti e capaci di cambiare il panorama in cui si inseriscono.

Bisogna lavorare per costruire un sistema che permetta a chi ha potenziale e il talento per tirare fuori  un’impresa di quel calibro di poterlo fare.

Apple, Airbnb, Dropbox, sono nate perché all’interno di ecosistemi molto specifici che hanno concesso a queste imprese di diventare quello che sono oggi.

Quindi quello che mi interesserebbe è riuscire a fare un lavoro simile: aiutare a creare strutture che permettano alle imprese sociali di fare questo tipo di salto.

RACCONTACI UN INCONTRO CHE TI HA COLPITO E ISPIRATO IN QUESTI ANNI

Mi è difficile scegliere una sola storia: la cosa che mi ha più colpito è come l’insieme di queste storie combacino le une con le altre.

Una su tutte, quella della collaborazione nata tra un’imprenditrice della striscia di Ghaza e un imprenditore israeliano che oltre a collaborare sono diventati anche profondamente amici.

In teoria non mi stupisce che, astratte da un contesto, le persone riescano a connettere a livello umano, ma in quel contesto specifico è particolarmente significativo, tenendo conto che per chi vive a Ghaza anche solo uscire da quel rettangolo di terra è una cosa difficilissima.

In generale mi ha stupito il fatto che di storie di questo tipo ce ne siano tantissime.

L’altra cosa che mi ha stupito molto è che a livello intuitivo, di energia e desiderio di cambiamento che viene da chi fa l’imprenditore sociale è una cosa che nella società contemporanea non mi è capitato di vedere in nessun altro.

Gli imprenditori sociali, oltre ad avere i numeri, il potenziale ecc, hanno proprio questo livello intuitivo e umano, questo fuoco dentro che permette loro in molti casi di superare le difficoltà cui fanno fronte.

Ricordo un imprenditore marocchino col quale abbiamo lavorato quest’anno che nel video di presentazione che ci ha inviato al momento di candidarsi al programma, dice che entro i trent’anni (ne ha 23) vorrebbe impattare le vite di 1.000.000 di persone. Che ci riesca o meno (ed è sulla buona strada!) lo spirito che manifesta è qualcosa di straordinario.