Bene comune e beni comuni, c’è differenza?
Lo abbiamo chiesto ad Alessandra Quarta, speaker a Humans in CO, l’ultimo evento firmato TEDxTorino.
BENI COMUNI: DI COSA STIAMO PARLANDO?
Parliamo di beni comuni al plurale, non di bene comune, perché non vogliamo avviare un discorso su un generico “Bene comune” dell’umanità, ma affermare che determinati beni materiali possono trovare forme di gestione diverse sia dalla proprietà privata che da quella pubblica.
BENI SENZA FRONTIERE
La categoria dei beni comuni è un modo per andare oltre la divisione tradizionale tra pubblico e privato: introduce delle forme di gestione che coinvolgono la comunità (gruppi di persone formali e informali) e che si caratterizzano per l’accesso alle risorse, piuttosto che per l’esclusione che è una tipica caratteristica delle forme di proprietà.
L’aspetto più rilevante non è quindi l’appartenenza del bene, ma il modo in cui viene gestito.
Quanto detto si può osservare molto chiaramente in relazione alle risorse immateriali, quando parliamo di commons: viene subito in mente mente il contesto delle licenze creative commons e quindi le idee, la conoscenza, che non possono essere sottoposte a regimi esclusivi ed escludenti.
Ma possiamo applicare questa categoria anche ad altri beni.
LE ORIGINI IN ITALIA
In Italia il dibattito sui beni comuni si è sviluppato a partire dal 2011 col referendum sull’acqua, quando lo slogan era “acqua bene comune”.
Questo slogan intende affermare innanzitutto che c’è una forte sensibilità riguardo all’appartenenza di questa risorsa, ma anche che è indispensabile trovare delle forme di gestione del servizio idrico integrato diverse da quella pubblica.
Da allora lo sviluppo dell’idea e della categoria dei beni comuni è stato molto significativo.
Il concetto è diventato molto di moda (a volte anche troppo) e oggi siamo in una fase in cui i beni comuni sono oggetto di un processo circolare: il bene comune crea la comunità, perché c’è una comunità che decide di prendersene cura o partecipare alla sua gestione; ma allo stesso tempo è la comunità che crea il bene comune, individuandolo come qualcosa per cui c’è bisogno di partecipazione, accesso e gestione condivisa.
Per questo oggi molti edifici abbandonati o spazi pubblici vengono definiti beni comuni urbani, proprio per mettere l’accento sull’elemento della partecipazione.
EUROPA BENE COMUNE
Il tema dei commons comincia a essere molto diffuso a livello europeo e ci sono molte reti internazionali che permettono queste esperienze e assemblee internazionali a difesa dei beni comuni.
Ci sono tante città, come Barcellona, che stanno lavorando per introdurre dei regolamenti che facilitino l’uso di spazi abbandonati, forme di governo di quartiere… il concetto di bene comune riguarda anche la qualità della democrazia e delle forme di rappresentanza.
IL RITORNO ALL’UTILE
I beni comuni hanno anche un po’ l’obiettivo di superare la distanza che separa il soggetto e l’oggetto: il capitalismo ci ha dato l’idea che noi dobbiamo controllare e sfruttare la natura, ci disegna come espropriatori, predatori e accumulatori.
La logica dei beni comuni parte invece dalle caratteristiche delle cose, dalle utilità che le cose producono per gli individui, come punto di origine di un nuovo schema giuridico.
I beni comuni sono anche un modo di sviluppare una visione ecologica: è molto importante perché gli indici dell’impatto ambientale e dell’inquinamento sono sotto gli occhi di tutti.
EDUCARE AI BENI COMUNI
Premesso tutto questo, è fondamentale un’educazione ai beni comuni.
Molto spesso infatti la difficoltà che abbiamo a interiorizzare questo concetto deriva da una serie di modelli e schemi che abbiamo assunto come validi e non discutibili: la concorrenza, il mercato, la competizione… sono gli unici modelli da applicare anche solo per regolare l’economia.
È molto diffusa quindi l’idea che i beni comuni coincidano con una tragedia: un po’ come quando c’è un buffet libero e tutti cercano di mangiare più degli altri.
Un simile atteggiamento danneggia la risorsa e la comunità. Quando parliamo di beni comuni invece non intendiamo un sistema senza regole o condizioni, ma un sistema che prevede degli standard, delle caratteristiche peculiari: solo che cambia il punto di vista: molto spesso le regole sono autoprodotte dalle comunità stesse, in questo modo sono anche più sentite.
Non si può fare a meno quindi di un processo di alfabetizzazione civica, ecologica e così via, dal grado primario di istruzione fino all’università.